Divieto di utilizzo di latte concentrato o in polvere: non si applica al latte bufalino
Legittima la condotta tenuta da una società che opera nel settore della produzione di mozzarella di bufala campana ‘DOP’ e non ‘DOP’
Il divieto di utilizzo di latte concentrato (o in polvere) per la preparazione di prodotti caseari e l’obbligo di apertura del registro dematerializzato di carico e scarico di latte in polvere e latte concentrato, previsti dalla legge numero 138 dell’11 aprile 1974, non si applicano al latte bufalino.
Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 7291 del 10 novembre 2025 del Tar Campania) a chiusura del contenzioso relativo alla condotta tenuta da una società campana che opera nel settore della produzione di mozzarella di bufala campana ‘DOP’ e non ‘DOP’.
Nello specifico, la società ha riconosciuto di utilizzare, a causa del disallineamento tra i volumi della offerta e della domanda del latte di bufala – in pratica, l’offerta risulta superiore alla domanda nei mesi invernali e viceversa –, un processo chimico che permette di conservare il latte prodotto per riutilizzarlo a distanza di tempo. In sintesi, il latte di bufala viene prima privato di una parte dell’acqua che contiene, poi congelato e quindi conservato in celle frigorifere per essere successivamente (nella stagione primavera-estate in cui si raggiunge il picco della domanda) scongelato e riportato (mediante aggiunta di acqua potabile) al volume originario per essere utilizzato per la produzione di mozzarella di bufala (non ‘DOP’, in quanto il prodotto ‘DOP’ deve essere realizzato esclusivamente utilizzando latte fresco) e altri prodotti caseari.
Questo sistema permette, spiegano dalla società, di ridurre il volume del latte di oltre il 40 per cento (con conseguente riduzione del costo della conservazione) ed è utilizzato da anni dai principali operatori del settore.
Secondo la società il quadro è semplice: la legge, contenente norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l’alimentazione umana, si riferisce al solo latte vaccino e non è quindi applicabile al latte bufalino.
Questa visione è corretta, secondo i giudici, poiché il quadro normativo fu approvato non (o comunque non solo) per ragioni di tutela dei consumatori ma per assicurare il controllo del latte magro proveniente dall’estero e far fronte al fenomeno (di dimensioni e impatto economico notevoli, all’epoca) dell’importazione di grandi quantitativi di latte in polvere da impiegare a scopo alimentare (cioè per la produzione di prodotti caseari destinati al consumo umano). All’epoca, l’impiego di questo latte in polvere si traduceva in una frode e in un atto di concorrenza sleale nei confronti degli operatori italiani che allo stesso scopo impiegavano latte fresco di produzione nazionale (molto più costoso di quello in polvere proveniente dall’estero, in quanto allora in Italia si registrava una carenza di produzione di latte e burro” a fronte di una eccedenza di produzione di tali prodotti in Europa). La legge si riferiva (e intendeva riferirsi), quindi, al latte vaccino e ciò, da un punto di vista normativo, trova puntuale conferma nella circostanza che nel 1976 erano vigenti quelle disposizioni sulla vigilanza igienica del latte destinato al consumo diretto secondo cui: per latte alimentare deve intendersi il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione; con la sola parola latte deve intendersi il latte proveniente dalla vacca; il latte di altri animali deve portare la denominazione della specie cui appartiene l’animale che lo fornisce.
Queste disposizioni sono state abrogate solo nel 2021. E già questo rilievo dimostra che la legge numero 138 del 1974 è inapplicabile al latte bufalino. D’altro lato, lo stesso legislatore, per estendere il sistema di tracciabilità costituito dal registro in contestazione al latte ovino e caprino, ha ritenuto di dover emanare nel 2019 un’apposita e specifica norma.
A queste considerazioni si aggiunge il rilievo che l’identificazione del latte (senza ulteriori specificazioni) con il prodotto della mungitura della vacca si ritrova anche nella normativa di derivazione comunitaria. Così, è stabilito che, per quanto riguarda il latte, le specie animali che ne sono all’origine devono essere specificate, quando il latte non proviene dalla specie bovina e si qualifica come latte il prodotto della mungitura di una o più vacche”.
A ciò si aggiunge, infine, l’ulteriore rilievo che per il latte bufalino è stato introdotto nel 2014 un autonomo sistema di tracciabilità, diverso da quello del latte vaccino.