Pandemia e penuria di materie prime: ‘censurata’ l’Ungheria per il regime in materia di esportazioni di materiali da costruzione
I giudici condividono la tesi proposta dalla Commissione Europea. L’Ungheria non è riuscita a presentare la penuria di materie prime e materiali da costruzione come una minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività
Libera circolazione delle merci: ‘censurata’ l’Ungheria. La procedura istituita in quel Paese per l’esportazione di materie prime e materiali da costruzione viola il diritto dell’Unione Europea.
Questa la decisione dei giudici (sentenza del 13 novembre 2025 della Corte di giustizia dell’Unione Europea) a sancire la vittoria della Commissione Europea.
Per meglio inquadrare la questione è necessario fare un passo indietro e tornare all’epoca della diffusione del Coronavirus.
Nel contesto della pandemia da Covid-19 e della connessa penuria di materie prime a livello mondiale, difatti, l’Ungheria ha adottato una procedura che prevede un obbligo di notifica delle esportazioni di materiali da costruzione e la possibilità, per lo Stato ungherese, di esercitare un diritto di prelazione e di acquisto nei loro confronti.
La Commissione Europea ha proposto un ricorso per inadempimento contro l’Ungheria, sostenendo in particolare che la procedura in esame costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa e ingiustificata e che essa viola, per questo motivo, il principio della libera circolazione delle merci. E, sempre secondo la Commissione Europea, poiché le restrizioni si estendono alle esportazioni verso Paesi terzi, l’Ungheria ha inoltre violato la competenza esclusiva dell’Unione Europea nel settore della politica commerciale comune.
Di parere opposto, ovviamente, l’Ungheria, secondo cui la procedura in esame non costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, poiché il suo effetto è troppo aleatorio o troppo indiretto. In ogni caso, essa è giustificata, sempre secondo l’Ungheria, da motivi di pubblica sicurezza, in quanto il suo obiettivo principale è proteggere le infrastrutture critiche assicurando il loro approvvigionamento in materiali da costruzione.
Per i giudici l’ago della bilancia pende dal lato della Commissione Europea, essendo evidente l’inadempimento addebitabile all’Ungheria.
In sostanza, secondo i giudici europei, le misure ‘incriminate’ introducono un onere amministrativo aggiuntivo, prevedono una sanzione in caso di inosservanza dell’obbligo di notifica, causano un prolungamento dei termini per la consegna e, in caso di attuazione del diritto di prelazione e di acquisto riservato allo Stato ungherese, impediscono definitivamente la transazione di esportazione. Pertanto, tali misure hanno per oggetto esplicito di limitare le esportazioni di materiali da costruzione e, in quanto tali, costituiscono misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’esportazione, vietate, di norma, dal principio della libera circolazione delle merci.
Respinte le obiezioni sollevate dall’Ungheria al fine di giustificare le restrizioni in questione e centrate sulla motivazione che tale Stato membro non è riuscito a dimostrare che la penuria di materie prime e materiali da costruzione costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività. Per tale medesimo motivo, l’Ungheria non può neppure legittimamente invocare la pubblica sicurezza al fine di giustificare le restrizioni relative alle esportazioni verso Paesi terzi.
Pertanto, adottando tali misure, l’Ungheria ha altresì violato la competenza esclusiva dell’Unione Europea nel settore della politica commerciale comune.